Fuori dal 29 novembre “Sarajevo”, il primo album di Temperie disponibile su tutti i digital store. Un disco che raccoglie tutti i singoli pubblicati nell’ultimo anno e due inediti: “Questo tempo basterà” e la title track “Sarajevo” Nove canzoni d’amore, bellezza e conoscenza, in equilibrio tra il suono e il senso, che cantano la bellezza e la complessità delle relazioni umane, intrecciando romanticismo e resilienza. L’album coniuga l’atmosfera romantica di quando ci si innamora e il potere di rinascere dalle proprie ferite.
Volevamo sapere qualcosa in più di questo progetto complesso, ed ecco com’è andata.
Le vostre canzoni parlano di amore, bellezza e conoscenza. Come vivete voi personalmente questi temi nella vostra quotidianità?
R: Studiando continuamente, lavorando su se stessi, cercando di coltivare relazioni umane, preservando un’ecologia della bellezza giorno dopo giorno. Riassumerei la mia inclinazione con una citazione di Terenzio: “Sono umano e niente di ciò che è umano mi è estraneo”.
E: Ribadisco la risposta di Riccardo. Ogni giorno cerco di aver fatto almeno un passo verso l’oblio che è tutto ciò che non conosco, che mi spaventa ma che contemporaneamente mi attrae. Aggiungo che non sempre riesco a vivere bene questa mia tendenza perché è qualcosa che faccio naturalmente senza secondi fini, e, in un mondo in cui o qualcosa rende dei soldi oppure non stai facendo niente, non sempre riesco a sentirmi sereno. Credere in quello che credo è una scelta che faccio ogni giorno.
La forma “canzone” è per voi uno spazio di libertà creativa. Come riuscite a raccontare tanto, dicendo solo “abbastanza”?
La canzone, come la poesia, è una forma breve di espressione. Da un lato, richiede un lavoro di sintesi, una chiarezza e una pertinenza propri di chi sta comunicando ad un’altra persona per farsi comprendere, dall’altro ha a che fare con una materiale incandescente, misterioso e ineffabile. Il silenzio, l’intensità emotiva espressa dalla voce, la trama musicale, il corpo stesso riescono a dire non dicendo. L’arte ha a che fare col tentativo di dire l’indicibile, di dare voce a chi voce non ce l’ha, e con la ricerca della verità. Per noi, è una forma di esperienza che coniuga consapevolezza, saper prendersi cura ed intensità emotiva.
Qual è stata la prima canzone che avete scritto per Sarajevo e quale, invece, l’ultima? C’è stato un momento in cui avete sentito che l’album era davvero completo?
R: Per me un disco finisce, ma resta comunque incompiuto finché qualcuno non lo ascolta. La scelta dei suoni, circoscrivere il concetto dell’album ti porta a capire i confini geografici del mondo musicale che stai portando. Ma saranno poi gli ascoltatori ha riempire il disco di senso, di nuove prospettive, di vita.
E: E’ difficile definire la prima canzone perché spesso lavoriamo a più brani contemporaneamente e può succedere che da una canzone che non ci sta piacendo estrapoliamo solo una piccola parte e ne sviluppiamo una nuova, oppure a volte ci sono delle vere e proprie fusioni di idee. Per esempio Cosa darei è un pezzo molto vecchio che era già stato pubblicato, ma che è stato completamente riarrangiato cambiando profondamente la versione iniziale che era molto più elettronica. Anche Io ci sarò deriva da una nostra canzone in inglese, riscritta e prodotta in italiano, e poi di nuovo reinterpretata con un ritornello diverso che viene da chissà quale idea da uno dei nostri tanti cassetti. Sicuramente l’ultima ad essere stata scritta è Sarajevo. L’abbiamo da subito definita come title track e personalmente lì ho sentito la fine della scrittura dell’album.
Avete mai avuto momenti di difficoltà o blocco creativo durante la realizzazione del disco? Come li avete superati?
No, mai.
Se poteste fare una dedica simbolica di questo album a qualcuno, chi sarebbe?
A tutte quelle persone che non hanno potuto avere una seconda possibilità.
Il vostro debutto è stato nel 2023, e da allora non vi siete fermati. Qual è stato il momento più significativo di questo viaggio?
Ti rispondiamo con una poesia di Hikmet:
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
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