Recensione: Rosa, il nuovo singolo di Marco Scaramuzza

Non è cosa semplice parlare oggi di canzone d’autore, per diversi motivi. Il primo, certamente, è che di questi tempi, di cantautori ce n’è fin troppi in giro: ogni giorno, un nuovo clone di qualche altro clone sbuca come fungo tra le praterie sterminate (ma sempre più affollate) della scena emergente musicale, costringendo l’ascoltatore a muoversi come Indiana Jones tra i filamenti di una giungla che sta diventando sempre più confusa e intricata. 

C’è bisogno, insomma, di cantautori che si ricordino che, fare canzone d’autore, significhi innanzitutto reclamare una propria precisa identità, un’autorialità insomma che non può né deve diventare emulazione fine a sé stessa; ecco perché oggi, al primo ascolto di “Rosa”, il nuovo singolo di Marco Scaramuzza, le mie papille uditive (esistono? No, ma per fortuna la fantasia ci soccorre!) sono impazzite di gioia.

“Rosa” non è un brano come gli altri, tutt’altro: quattro minuti (e già si capisce che il concetto del brano non può né vuole stare nei due minuti da radio) di narrazione che si intrecciano alla trama soffusa di una chitarra solitaria, faro nella notte di una “favola” moderna che raccoglie la voglia di libertà di tutti e la trasforma in un mantra quotidiano, da ascoltare per stare bene. Marco ha una voce che sembra uscire da qualche cavità profonda, e che calma anche quando s’infuria: “Rosa” è una creatura fragile e delicata, che ha bisogno di attenzione e cura per non andare in frantumi; si vede che Scaramuzza, alla sua seconda figlia (la prima era stata, qualche settimana fa, la valida “Cuore di plastica”, pubblicazione certamente più pop di quest’ultima), ci tiene eccome e a noi ascoltatori sta il compito di difenderla da facili giudizi e dalla nostra atavica fame di cose semplici e digeribili. 

Scaramuzza scrive e si emoziona, si sente: forse questo potrebbe essere il segreto utile a restituire quel tocco di autorialità e di calore che oggi più che mai manca alla canzone d’autore nostrana, in attesa di una rigenerazione che possa portare i Maestri a non essere più nostalgici totem di ere passate ma santi e numi tutelari capaci di proteggere il desiderio di divergenza di nuovi e giovani cantautori che valgono. Come certamente è Marco Scaramuzza.