Con “Tartaro”, Amore ai Tempi del Muro ci offre una riflessione profonda e disillusa sulla condizione umana, giocando con le ombre della memoria collettiva e le sfumature più intime dell’anima. Il brano, in uscita per la band emergente, si presenta come un incrocio di generi e stati emotivi che abbracciano il rock alternativo e il cantautorato più evocativo. Ma non è solo la musica a catturare l’ascoltatore: le liriche, dense di significati e di visioni evocative, danno forma a un viaggio sonoro e mentale tra i resti della storia e le sfumature della nostra psiche.
La traccia si apre con un’intro atmosferica, quasi eterea, che prepara l’ascoltatore a un viaggio che va oltre il piano della mera narrazione musicale. I suoni sono pulsanti, creando un ambiente denso di tensione, che si evolve durante il brano, alternando momenti di introspezione a esplosioni di energia. Il crescendo dinamico, che si fonde perfettamente con la lirica, esprime quel desiderio di rinascita che permea il brano, come un’onda che travolge il passato ma non riesce mai a scacciare completamente il dolore. La produzione è ricca e stratificata, capace di mantenere una certa eleganza anche nella sua intensità.
Le liriche di “Tartaro” sono dense di simbolismo e di una disperata ricerca di risposte. L’apertura, “Salutando i tuoi colori, Con l’inverno arrivavi, A non percepire più / Il calore, l’essenziale,” è un’immagine forte di un addio, di un distacco che spegne la luce e riduce la vita a un cammino privo di senso. Il brano sembra raccontare un amore che svanisce o forse un ideale che cede sotto il peso della realtà. “Il desiderio è tirannia” recita una delle frasi chiave, in cui si sente l’eco di una condizione umana che è prigioniera dei propri stessi desideri, sempre insoddisfatti, sempre incapaci di trovare una vera realizzazione.
Il ritornello, “Dici che te ne fotti, Dici che te ne vai / Tra i pezzi di vetri rotti, Serafiche verità,” è un grido rabbioso, un’urgenza di liberarsi da una condizione insostenibile, ma allo stesso tempo, sotto la superficie, si percepisce il rimpianto, la voglia di tornare, di recuperare ciò che è stato perduto. La ripetizione di “Dici che te ne fotti” sembra quasi un atto di sfida, ma anche un gesto di stanchezza, come se chi parla stesse cercando di convincersi della sua stessa fuga.
Le successive strofe non offrono soluzioni, ma piuttosto suggeriscono che tutto ritornerà con le stagioni, come un ciclo inevitabile, sempre destinato a ripetersi. Il “tepore nei polmoni” e i “profumi e l’allegria” sono immagini di una bellezza che non può essere trattenuta, ma che continua a sfuggire, quasi come un miraggio, spingendo i protagonisti a rincorrerla senza mai raggiungerla davvero.
Il verso “Volevi giocare coi morti, coi vivi affogherai” è particolarmente suggestivo. È un monito, una riflessione sul rischio di confrontarsi con ciò che è finito senza avere la consapevolezza di essere intrappolati nel presente, nel “qui e ora” che ci sovrasta.
“Tartaro” è una canzone che lascia il segno. La fusione di una melodia avvolgente e una lirica intensa offre un’esperienza musicale che è sia emotivamente ricca che concettualmente stimolante. Amore ai Tempi del Muro dimostra ancora una volta la propria abilità nell’affrontare temi universali in modo originale, utilizzando una scrittura poetica che esplora il confine sottile tra la realtà e l’illusione, tra speranza e disillusione. Il brano diventa una riflessione sull’esistenza, sul desiderio di fuga e sul rimpianto, e la sua intensità emotiva fa sì che ogni ascolto diventi un’esperienza profonda e rivelatrice.
Con “Tartaro”, Amore ai Tempi del Muro non solo conferma la propria identità musicale, ma ci invita anche a riflettere sulle rovine di ciò che abbiamo vissuto, ma che, forse, non potremo mai veramente dimenticare.
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