Recensione di Babylon Club, terzo album de I Ragazzi del Massacro

Nel panorama del rock italiano, pochi hanno osato mescolare con tanto coraggio la scura intimità del post-punk con l’irriverenza di suoni psichedelici e sfumature blues e country come ” I Ragazzi del Massacro”. Con *Babylon Club*, la band milanese, al suo terzo album, segna un passo importante nella propria evoluzione sonora, pur restando saldamente radicata nel suo DNA oscuro e inquietante.

Il titolo dell’album, *Babylon Club*, evoca subito un’atmosfera di caos controllato, dove la frenesia della città e la memoria di un passato che non si lascia dimenticare si fondono in un immaginario collettivo di riflessioni e contraddizioni. In effetti, l’album trasmette la sensazione di un club sotterraneo, un luogo di transito dove si incrociano storie di vite passate e future, spezzate e ricomposte. Musicalmente, *Babylon Club* si presenta come un incrocio tra l’energia vibrante del rock alternativo e la nostalgia di una sensibilità pop mai banale.

Sebbene la band non abbandoni mai del tutto le sue radici post-punk, qui emerge una nuova volontà di sperimentazione: il suono delle chitarre è pulito, cristallino, ma non per questo privo di abrasività. Le influenze psichedeliche sono evidenti, ma più sottili, integrate in un contesto che lascia spazio anche alla solennità del rock tradizionale, con sonorità che si fanno largo tra echi di Americana e blues. Brani come *Underground* e *The Brave*, già conosciuti grazie ai singoli precedenti, danno il tono di questo viaggio: melodie che si insinuano sotto pelle, testi criptici e un’aura di decadente modernità che permea ogni traccia.

Non è un concept album, ma *Babylon Club* è indiscutibilmente una raccolta di brani che ruotano attorno a un nucleo tematico: la città come luogo di contraddizione, dove i ricordi si mescolano con la frenesia del presente. Ogni traccia racconta una storia, ma la sensazione di trovarsi immersi in un luogo che non è mai statico, ma sempre in movimento, crea una narrazione coesa e densa. La città, in questo caso, non è solo un contesto fisico, ma un’entità psicologica, un labirinto di emozioni e tensioni.

Se è vero che la band è conosciuta per il suo lato più oscuro e introspettivo, *Babylon Club* dimostra un ulteriore passo verso l’integrazione di luci e ombre. La produzione, rifinita e ricercata, riesce a mantenere un perfetto equilibrio tra la cruda energia dei riff e la delicatezza dei passaggi più intimi. La voce di Davide (leader e frontman del gruppo) è sempre carica di tensione, talvolta inquietante, talvolta lirica, ma sempre capace di trasmettere la forza e la fragilità dei personaggi che popolano le sue canzoni.

A differenza di quanto accaduto nei precedenti lavori, qui la band non si limita a flirtare con l’oscurità, ma la invita a ballare sotto luci intermittenti, tra un beat pulsante e un riff che si arrampica sulle pareti del cuore. Il risultato è un disco che non ha paura di esplorare, di miscelare stili e suoni diversi, ma che non perde mai di vista la sua anima inquieta e affilata.

Con *Babylon Club*, I Ragazzi del Massacro hanno messo a punto un album maturo e audace, dove la sperimentazione sonora non compromette l’accessibilità melodica. La band non ha paura di sfidare le convenzioni del rock alternativo italiano, portando in primo piano una miscela sonora che spazia dal post-punk alla psichedelia, dal rock tradizionale alle influenze più cupe e viscerali. Un lavoro che, pur non essendo un concept album, riesce a raccontare con efficacia e passione una storia collettiva di ricordi e identità perdute, intrappolate in una babilonia di suoni, luci e ombre.

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