Intervista: Raggio si racconta tra passato, presente e futuro in musica

Diamo il benvenuto a Raggio, protagonista della nostra intervista di oggi! Prima di parlare dei tuoi ultimi lavori, leggendo la tua biografia, scopriamo che hai calcato dei palcoscenici molto importanti quando militavi nei Mahtí. Quanto sono state importanti quelle esperienze per la tua crescita artistica fino ad oggi? Tra tutti quegli eventi ne ricordi maggiormente uno che magari porti dentro più degli altri?

Con i Mathì è stata tutta un’esperienza di crescita, costante e progressiva, fin dall’inizio, sia durante le prove sia nei live che abbiamo fatto. Con loro ho scoperto l’ossessione per la ricerca del suono e delle strutture, i piani sonori e l’organizzazione della strumentazione da portare nei vari concerti dove ci siamo ritrovati a suonare. Ho tanti ricordi legati a quegli anni, dal Meeting del Mare nell’anno di Franco Battiato come “headliner” al Premio Fabrizio De Andre’, dal Frequenze Mediterranee allo Zungoli in Festival dove suonammo nella stessa serata degli ex CSI, ma simbolicamente l’evento che più ricordo con piacere è un Contest in un piccolo centro commerciale sperduto nella provincia di Caserta, fu proprio grazie alla vittoria di quel Contest che riuscimmo a raggiungere la cifra mancante per poter entrare in studio a registrare, esperienza che fino ad allora non avevo mai fatto e che mi ha lasciato tantissimo oltre a darmi l’opportunità di confrontarmi con i miei limiti e le mie potenzialità in studio, di fissare le idee in maniera professionale e condividere le idee sulle melodie e sulle dinamiche. 

Successivamente, uscendo dal gruppo, inizi a lavorare su pezzi tuoi autoproducendo “Sirene” e poi “Baci”. I tuoi pezzi riescono davvero a trascinarti dentro quelle emozioni. Complimenti.  Da cosa trai ispirazione per le tue composizioni? Quanto c è di “vita vissuta”?

Grazie!

Tutte le canzoni che scrivo sono tratte da  storie personali o da storie di cui ho sentito parlare. Di solito parto dalla storia e cerco di far risuonare dentro l’emozione che mi provoca e da lì fuoriesce sotto forma di poesia ed immagini, poi nel sistemarle in forma canzone cerco la metrica giusta per incastrare al meglio le parole con le melodie, sicuramente parto dal testo ed arrivo all’abito musicale successivamente. Nel restituire all’esterno l’emozione di ogni storia spesso mi aiuto con un “abbraccio” musicale, rigorosamente strumentale per non farmi distrarre dal testo, e molte canzoni le ho scritte ascoltando di sottofondo band come Sigur Ros, Mogwai, Explosions in the Sky, Mùm, The Album Leaf, tutte band che mi aiutano a calarmi nell’atmosfera creativa che preferisco rendendo l’esperienza della scrittura una forma di catarsi. 

Parliamo ora di Baci, il singolo presente anche nella nostra playlist Spotify. Il pezzo è davvero molto bello, ricco di influenze. Un testo bellissimo che a tratti ci ricorda anche un cantautorato stile Battiato che si mixa ad un sound moderno. Come nasce questa canzone? 

Ti ringrazio per l’accostamento, non ti nascondo che sono lusingato ed anche imbarazzato. La canzone nasce da una storia impossibile, da sentimenti difficili da gestire e da etichettare se non nelle categorie proprie dello stigma sociale parlando di una storia di due innamorati con una differenza di età notevole, lui trenta e lei venti. Anche se la storia viene interrotta da uno dei due, mi affascinava approfondire il tema dell’amore “impossibile”, mi ha spinto a riflettere da un lato sul condizionamento sociale che influenza le nostre scelte e dall’altro sull’istinto a seguire la passione come una sorta di respiro vitale profondo. “Baci” è una canzone dai toni volutamente leggeri per quasi tutta la sua durata, mentre il finale è un’esortazione a mantenere viva la propria Bellezza interiore e la propria unicità. Credo sia il fine ultimo del sentimento dell’amore, una tensione che ci mette continuamente in viaggio, che ci spinge a perderci e a ritrovarci, continuamente. 

Se dovessi descrivere questo singolo con un solo aggettivo quale sarebbe e perché?

Leggera.

Perché la mia intenzione era quella di mantenere un certo grado di leggerezza parlando di storie che spesso sono trattate con pregiudizio e con una buona dose di moralismo. Pregiudizio e moralismo purtroppo finiscono per appesantire la riflessione e spesso tendono a banalizzare anche storie, relazioni, racconti che invece hanno in germe qualcosa di incantevole, affascinante, vivo. 

Sappiamo che sei in studio a lavoro a nuovi progetti. Ci puoi anticipare già qualcosa?

Si, ho in cantiere le altre 4 o forse 5 tracce dell’Ep. Con la band stiamo ultimando le strutture in sala prove, sarà un Ep di 6/7 tracce e registreremo sempre al DDR studio di Leonardo Oscar Catani a Prato (PO) il quale si è occupato già della produzione dei primi due singoli e del quale ci fidiamo ciecamente. Non vediamo l’ora. 

Come sempre lasciamo l’ultimo spazio dell’intervista al nostro ospite. Puoi ora lanciare un tuo messaggio o rispondere alla domanda che avresti voluto ma non ti è stata fatta!

Bella proposta! 

Allora scelgo la seconda opzione, la domanda che avrei voluto mi venisse fatta: 

  • Gennaro, scrivi in italiano, hai mai pensato ad utilizzare il dialetto napoletano per i tuoi testi? 
  • SI, mi piacerebbe da morire ma ho paura di finire nelle strade impervie ed ipnotiche della Neomelodia napoletana, quindi per ora sto facendo solo dei timidi esperimenti casalinghi poi si vedrà. 

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