Intervista: le “Cento maledizioni d’amore” di Erika Giannusa


Benvenuta Erika, protagonista di questa nuova intervista su Fuori La Scatola! Il tuo ultimo singolo “Cento Maledizioni d’amore” affronta il tema dell’amore impossibile. Come hai trasformato questa esperienza emotiva in un brano musicale e quali elementi hai voluto enfatizzare attraverso la tua musica?

L’ispirazione per la scrittura del brano è arrivata istantaneamente. Avevo in mente il testo, la storia da raccontare, la melodia, quasi dai primi istanti. La canzone è nata dentro la mia mente prima ancora di sedermi al pianoforte e scrivere. Credo ci fosse una esigenza,  la volontà di liberarsi da qualcosa, voler porre fine ad un disagio, la necessità creativa come mezzo per comunicare. A volte per me è più semplice scrivere una canzone che dire le cose alle persone, pur avendone tutti i mezzi per farlo. Come ambientazione sonora e mio punto di partenza per la mia creazione musicale ho scelto uno stile legato alla danza, per la sua ritmica caratterizzante, cioè l’Habanera e per i motivi che nella memoria collettiva lo legano all’amore passionale. Questo genere musicale è associato all’amore  ribelle e indomabile… se dico Habanera, alla maggioranza delle persone verrà in mente l’Aria di Bizet dalla Carmen “L’amour est un oiseau rebelle” dove appunto si dice che l’amore è  imprevedibile e travolgente, indipendentemente dalla propria volontà. 

Hai menzionato  Mina come tua musa. Come ha influenzato la sua voce intramontabile il processo di scrittura e interpretazione di questo singolo?

Ho ascoltato  molto Mina fin dall’adolescenza, e come tutti gli ascolti che facciamo in modo assiduo , consapevolmente o no, ne assorbiamo qualcosa, in genere quello che più ci colpisce. Ritengo che Mina sia un’artista che riesce a spaziare attraverso diversi generi musicali pur mantenendo il suo marchio di fabbrica, cioè il suo riconoscibile timbro vocale. Credo che lei sia affezionata anche alle sonorità latine, spagnoleggianti, che nei suoi brani ben si sposano ai temi dell’amore ed a una matrice cantautorale; quindi ho sentito una affinità nella scrittura del brano e nella mia interpretazione vocale, che ho poi cercato di coniugare anche con altri modelli come le sonorità dell’artista palermitana Giuni Russo ed il suo modo particolarissimo di affrontare il falsetto. 

La tua formazione classica emerge nell’arrangiamento di “Cento Maledizioni d’amore”. Come hai fuso elementi classici con influenze contemporanee per creare il suono unico del brano?

Essendo io una Pianista di formazione classica (ho studiato per ben 10 anni al Conservatorio di Palermo) che ha ascoltato però anche tanto tango spagnolo e argentino, non ho avuto difficoltà ad elaborare questo tipo di arrangiamento pianistico. Ho anche studiato Composizione, sempre al Conservatorio (prima quello di Palermo e poi proseguendo il mio percorso ad Udine) e ciò mi permette di analizzare la musica e di poter affrontare dal punto di vista compositivo svariati generi musicali. Il compositore deve essere curioso, esploratore… è quello il mio atteggiamento nella scrittura, ma anche un pò nella vita. Per quanto riguarda gli arabeschi vocali, quelli li ho registrati pensando appunto alla fusione del mondo spagnolo con quello arabo, fatto storicamente e culturalmente consolidato. Per quel che riguarda la parte dei sintetizzatori e la batteria trap invece ho accolto l’esperienza dell’ arrangiatore di Rudy Coda Bertetto  (Studio Mix-online di Biella) con il quale abbiamo collaborato nell’ideazione e nella realizzazione della stesura definitiva dell’arrangiamento. C’era la volontà di essere me stessa attualizzando le sonorità e penso che ci siamo riusciti. 

“A volte voler bene ad una persona significa anche lasciarla andare.” Questa riflessione personale è al centro del tuo brano. Come hai tradotto questo concetto complesso in parole e melodia, mantenendo autenticità e profondità?

Ho tradotto questo concetto nel racconto delle mie emozioni e dei miei dubbi: “lasciare andare” non è mai indolore. Significa solo decidere che per il bene proprio ed altrui è meglio prendere direzioni diverse, ed eticamente penso di aver fatto la scelta corretta. E’ arrivata in mio soccorso la Musica, proprio per il suo potere catartico, a portar fuori ciò che altrimenti rimarrebbe seppellito e a lenire le ferite che la vita a volte ci inferisce. 

Nel testo della canzone passo spesso da una dimensione plurale ad una singolare, come a sottolineare una connessione di sensazioni, spezzata da una individualità che si impone e che si materializza nella canzone stessa e nella Maledizione d’amore. La Maledizione d’amore altro non è se non un antidoto, o al contrario se si vuole, un sortilegio contro l’amore, proprio perchè essendo un amore impossibile, quello oggetto della canzone, questo non appaga chi lo prova, ma conduce alla distruzione. 

La presenza di elementi spagnoli e arabi nel brano si collega alle tue radici siciliane. Come integri la tua identità culturale nella tua musica e come questa influenza la tua creatività?

La commistione di stili musicali e  differenti suggestioni culturali, fa parte del mio Dna siciliano ed è qualcosa che ricerco costantemente. Penso che essere cresciuta nel Centro Storico di Palermo, dove ho studiato e trascorso la maggioranza delle mie giornate, mi abbia dato molti stimoli creativi. Il pensiero di fondere diversi stili musicali nasce proprio dall’esperienza visiva dell’architettura palermitana e della varietà artistica che è nell’essenza della Sicilia. Basti soltanto pensare allo stile arabo- normanno, alla fusione di stili della Chiesa della Martorana, agli ori e ai mosaici della Cappella Palatina con il suo soffitto intagliato tipico degli edifici arabi e della Persia, al barocco siciliano della chiesa di Santa Caterina, agli stucchi del Serpotta tra cui i celebri dell’Oratorio di Santa Cita… potrei continuare e la lista sarebbe davvero lunga! La contaminazione stilistica è una tipicità delle architetture palermitane, dove le varie dominazioni nei secoli non hanno voluto cancellare la traccia del passato ma integrarsi e fondersi preservando l’arte locale ed apportando via via nei secoli il loro contributo. Da questa lezione io sicuramente prendo spunto e mi arricchisco, facendone tesoro nel mio comporre e cercando di andare nella direzione del polistilismo musicale. Al momento non faccio un uso radicale del polistilismo, nel senso che integro gli stili e non creo contrapposizioni tra di essi, nell’ambito perlomeno della canzone. Sono convinta che il polistilismo sia stato una chiave per l’evoluzione artistica nei secoli, a volte in modo più  esplicito altre meno, e che oggi sia quasi naturale aderire a questa corrente artistica perchè abbiamo un bagaglio culturale enorme che ci precede e reinventarlo e/o integrarlo può essere una chiave per fare evolvere la musica. 

Lasciamo l’ ultimo spazio dell’ intervista al nostro ospite. Puoi ora lanciare un tuo messaggio o rispondere alla domanda che avresti voluto ma non ti è stata fatta!

Il mio messaggio riguarda la ricerca dell’originalità nell’arte: Siate voi stessi,  preservate le vostre identità, cercate dentro di voi, scoprite e non fermatevi. Contraddicetevi, per poi eventualmente ritornare sui vostri passi o ancora cambiare strada. Che noia l’uomo sempre uguale, che noia chi si veste ogni giorno con lo stesso abito, che noia la ricerca dell’eccessiva coerenza: Siate voi stessi. 

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