Intervista: entriamo nella Pinacoteca dei luoghi impossibili con Claudio Sirigu

Claudio Sirigu sbarca su Fuori La Scatola a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo album: ‘Pinacoteca dei luoghi impossibili’. Ti va di raccontare si nostri lettori come e quando è nato questo album? Parlaci anche del titolo che è molto interessante

Quando tutto è cominciato ci eravamo da poco lasciati alle spalle l’ultimo lockdown dovuto alla pandemia, quindi venivo da un periodo decisamente atipico, eravamo all’inizio del 2021, io avevo finito da poco le scuole superiori e stavo entrando nel vivo del percorso di studi per diventare fonico. Era un momento piuttosto complicato, da dicembre 2020 ho iniziato a sperimentare un po’ di problemi fisici e, di conseguenza, ad isolarmi un po’; ho vissuto male e ho avuto paura, in certe situazioni nuove è difficile essere razionali, e ci ho messo un po’ a capire che in realtà quello che stavo subendo era un enorme contrapporlo psicologico dovuto ai lockdown, ai vari stravolgimenti
che stavo affrontando in quel momento della mia vita e, probabilmente, a qualche scoria del periodo complicato dal punto di vista delle relazioni interpersonali da cui stavo uscendo, che avevo raccontato nel mio album precedente (Ricerca), e che non mi ero ancora del tutto scrollato di dosso. Sono nati i primi brani (In fondo agli occhi, Radiazioni, Ballata) in cui cercavo di raccontare ciò che stavo vivendo ma non l’avevo ancora metabolizzato pienamente, man mano che nascevano canzoni ed io progredivo, grazie anche al contributo determinante della psicoterapia, ho iniziato a vedere tutto il quadro un po’ più chiaramente, a interessarmi a come funzioni la mente umana, a come possono ingarbugliarsi le cose che viviamo e assimiliamo, fino a sfociare in qualcosa di inaspettato. Il titolo nasce da questo: i “Luoghi impossibili” sono quei vicoli della nostra
mentre in cui è così difficile orientarsi, sfocati come in un sogno, imprevedibili, mentre l’idea della “Pinacoteca” è nata quando ho scoperto le app di intelligenza artificiale in grado di generare immagini: mi sarebbe sempre piaciuto saper disegnare per poter raccontare quei luoghi onirici e sfocati di cui parlavo poco fa, purtroppo non sono molto portato, ma quando mi si è presentata questa opportunità ho pensato fosse l’occasione perfetta per realizzare un “quadro” per ogni brano, e creare una combinazione audiovisiva per rappresentare al meglio ciò che avevo in testa.

Un “gioco” che facciamo nelle nostre interviste, oggi con te e con il tema toccato dal tuo lavora, risulta maggiormente difficile ed interessante: racconta questo disco come se lo stessi spiegando ad un gruppo di bambini delle elementari!

Ok, non ti nascondo che potrei avere serie difficoltà a trovare un modo efficace ma allo stesso tempo semplice per raccontare questo album a un gruppo di bambini, probabilmente cercherei di raccontare, in tutta sincerità, la storia di fondo che muove l’album: quella di un ragazzo che davanti a delle sfide difficili e pericolose ha scelto di combattere da solo anziché farsi aiutare, e per questa sua scelta imprudente stava quasi affondando, finché non ha avuto la forza di chiedere aiuto. La morale in questo racconto sarebbe duplice: da un lato vorrebbe insegnare che non dovremmo
avere paura di essere deboli davanti a qualcosa e non dovremmo vergognarci di non essere abbastanza forti per poter risolvere tutto da soli, d’altro canto mostrerebbe anche quanto la creatività possa essere una cura potentissima ai nostri mali, che raccontandoci possiamo liberarci di pesi enormi, che tenersi tutto dentro non fa bene, e che se non riusciamo a farlo con le parole la musica o l’arte possono essere di grande aiuto.

Puoi descrivere l’album con 3 aggettivi?

“Onirico”, è sicuramente ciò a cui puntavo e spero di esserci riuscito in qualche modo, sia con i suoni che con le immagini, dopotutto i sogni sono sempre di grande ispirazione per me, e sono un’espressione diretta del nostro subconscio, di ciò che stiamo vivendo dentro di noi, penso abbiano tanto in comune con ciò che mi ha portato a scriverlo. “Impegnativo”, ma non voglio affatto che sembri motivo di presunzione o di vanto, semplicemente trovo che, nella sua interezza, sia oggettivamente non così leggero, pur presentando comunque qualche brano che a primo ascolto potrebbe rimanere in testa (e spero tanto lo faccia), nell’era dei contenuti di cui fruire al volo pubblicare un album con cinque tracce oltre ai 4 minuti e nessuna sotto i 3 (se escludiamo l’intermezzo strumentale “###”) può anche essere un’arma a doppio taglio, non voglio
assolutamente avere la presunzione di sentirmi superiore al resto, ma mi sento di definire l’album oggettivamente impegnativo. Infine direi “Cantautorale”, anche qui non vorrei assolutamente sembrare presuntuoso, il mio è tanto un discorso di attitudine e di sonorità, non di volermi paragonare ad una scuola musicale quasi sacra per me, perché comunque oggi usciamo tutti come autori indie o come autori pop, io sinceramente faccio fatica a rivedermi a pieno in una di queste due categorie (la quale distinzione, tra l’altro, forse ce la siamo inventata un po’ noi dal nulla ed oggi ha meno senso di esistere di quanto non ne abbia mai avuto), sento una discreta dose di cantautoralità nell’approccio alla musica che ho avuto fino ad ora.

Ci sono delle canzoni dell’album alle quali sei legato maggiormente? Magari per qualche ricordo o motivo personale

È molto difficile rispondere a questa domanda, forse il brano a cui sono un po’ più legato a livello di scrittura è “Io mi ricordo” perché è un brano che cercavo di fare da tempo, ho sempre desiderato racchiudere in un testo le sensazioni che espongo in quella canzone, ci provo da un po’ e avere un brano che mi soddisfi tanto sotto quell’aspetto emotivo mi causa inevitabilmente una piccola preferenza, tuttavia, devo dire, sono molto affezionato anche a “Voyager” e a “Blu di sera” per lo stesso motivo.

È interessante il fatto che tu sia, oltre che cantautore e musicista, anche un fonico. Lavorare in questo secondo ambito è un aiuto in qualche modo nella tua veste di musicista e cantautore o è ininfluente?

Guarda, io mi sono innamorato della professione del fonico dopo la mia prima esperienza in studio di registrazione, tant’è che ho scelto di studiare per diventarlo a mia volta, ho terminato da non molto gli studi e sicuramente ho ancora tanto da imparare in quell’ambito come un po’ in generale nella musica e nella vita, però mi sta già dando diverse soddisfazioni, e rispetto a qualche anno fa mi rendo conto di aver fatto indubbiamente dei progressi. Per quanto riguarda la mia musica, quando mi trovo, per esempio, a dover mixare una mia produzione mi rendo conto di partire già con un bias il più delle volte e di non lavorare con la mente totalmente libera come quando mi
approccio a un brano prodotto e arrangiato da qualcun altro/a, il che al momento forse mi limita un po’ ed è ciò su cui sto cercando di migliorare. Non penso che la professione del fonico aggiunga qualcosa alla mia scrittura onestamente, almeno per il momento, tuttavia non mi sento di dire nemmeno che la peggiori, magari me ne renderò conto meglio tra qualche anno.

Come sempre lasciamo l’ultimo spazio dell’intervista al nostro ospite. Puoi ora lanciare un tuo messaggio o rispondere alla domanda che avresti voluto ma non ti è stata fatta!

Come ultima cosa allora voglio approfittarne ringraziare voi, i lettori e tutto il team di Asux Records che mi da una grossa mano soprattutto dal punto di vista emotivo supportandomi e sopportando le mie follie musicali

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