Intervista ad Eric Mormile: ‘’Lla Ffore’’ è il risultato di una trascrizione empatica fatta di musica, parole e sentimenti

Ciao Eric, “Lla Ffore”, il tuo nuovo singolo di cui abbiamo parlato in questo articolo, tratta un tema delicato come l’emigrazione forzata. Cosa ti ha ispirato a raccontare questa realtà attraverso la tua musica?

Salve a tutti e grazie dello spazio dedicatomi. ‘’Lla Ffore’’, nuovo brano, a differenza di altri precedenti non riguarda una storia personale. Questo perché con il percorso di questo nuovo album ho voluto abbracciare temi più comuni per raccontare la resilienza da diversi punti di vista, e per farlo non potevo parlare solo di me. ‘’O’ Quatto ‘e Maggio’’, una mia canzone uscita a maggio scorso per esempio, è ispirata alla storia di un amico, e così anche questo ultimo singolo. ‘’Lla Ffore’’ è il risultato di una trascrizione empatica fatta di musica, parole e sentimenti di persone a me vicine che hanno vissuto/vivono fuori. Gente che ha riempito così tanto la mia testa di storie sulle esperienze estere, da essere diventato impossibile, a un certo punto per me, restare sordo e ho così sentito l’esigenza di parlarne. A supervisionare il lavoro testuale ci ha pensato il Maestro Salvatore Palomba, celebre autore della classica napoletana ‘’Carmela’’ e ormai mio stretto collaboratore.    

Il brano combina elementi pop-rock con sfumature di world music. Qual è stato il processo creativo dietro questo mix di influenze musicali?

Tutto quello che scrivo è sempre ispirato a cose che ascolto e che hanno forte influenza su di me, ed ecco perché se si scava nell’ambiente musicale mondiale, non facendo sempre e per forza riferimento alle classifiche, è facile capire da dove viene questa mia mescolanza di generi. Tra le cose che ascolto e che da noi non trovano spazio c’è molta musica indiana o latino americana, ed ecco che viene fuori in questo senso il discorso della World Music. Cose come il Pop Rock, la New Wave, il Progressive Rock e il Synth Pop, da me trattati con altre canzoni, rappresentano materiale di conoscenza più comune, ma si tratta a sua volta di generi già di per se molto contaminati ed influenzati da altri tipi di musica.  

Hai citato icone musicali come Peter Gabriel e Sting come tue fonti di ispirazione. In che modo questi artisti hanno influenzato la tua composizione in “Lla Ffore”?

Non la definirei solo un’influenza musicale ma soprattutto artistica. Stiamo parlando di due figure che non si limitano semplicemente a fare musica, ma persone che rendono ogni loro lavoro discografico un’opera d’arte e questa è la cosa che mi affascina di più. Dare vero significato alla propria produzione per me è il modo salvifico di trasmettere arte. Da questo punto di vista, per chi fa un certo tipo di musica, figure come Peter Gabriel, Sting, Phil Collins, Mark Knopfler, Bob Marley, Stevie Wonder ed Eric Clapton direi sono imprescindibili. Ogni artista che si rispetti dovrebbe conoscerne il catalogo non per restarne per forza influenzato ma per comprendere le figure artistiche che si celano dietro le canzoni. Dal punto di vista musicale Gabriel è quel personaggio che mi ha fatto comprendere l’importanza del ritmo, al punto da farmi concepire anche le ballad come brani pieni di groove piuttosto che melodici. Credo che il ritmo sia quel fattore che tende a rendere interessante qualsiasi cosa si scriva. L’influenza che ha Sting su di me riguarda molto le linee vocali, le sue sono tra le più originali mai ascoltate perché credo concepite tramite pensiero laterale, e questo mi spinge verso l’approccio del creare fuori dagli schemi quando cerco una melodia, è quello che mi fa dire ‘’voglio una linea melodica diversa, anche strana se necessario ma funzionale e memorabile’’. Entrambi poi vanno a trattare nei loro brani argomenti testuali mai banali e mai noiosi, e anche quando esplorano tematiche più leggere lo fanno sempre con grande poetica. È necessaria quella parte testuale che conduce alla riflessione, non può sempre e solo essere ‘’balla e non pensare per un paio di minuti’’.  

Nel testo del brano parli di emigrazione come un atto di coraggio e non solo come una necessità. Come sei arrivato a questa visione, e cosa speri che il pubblico comprenda dal tuo messaggio?

Più che di coraggio direi si tratta di un atto di orgoglio e consapevolezza. Essere coscienti del proprio valore e del fatto che per esprimerlo nella sua totalità non si può restare qui, perché un paese come il nostro non valorizza le persone e fa crescere in loro solo un senso di grande frustrazione. Senza girarci troppo attorno direi che lo sappiamo tutti, molti con cui ho avuto a che fare sono partiti perché quella stessa frustrazione è diventata disperazione, altra gente ha sentito dentro di se l’impossibilità di mettere su famiglia qui e altre persone hanno capito che se volevano veramente una carriera non potevano restando nei confini. Io tutto sommato non mi trovo in nessuna di queste situazioni, ma mentirei se dicessi che la realtà di vita italiana non mi stia stretta. Magari il migliorare la mia posizione potrebbe essere un buon pretesto un giorno per partire. Il messaggio che vorrei passasse è proprio questo, se si è consapevoli di se stessi non bisogna vivere la partenza come una sconfitta, ma piuttosto come un atto di orgoglio, darsi delle nuove possibilità facendo affidamento sulle proprie capacità, e partire perché ci si vuole bene a tal punto da non essere più disposti a scendere a compromessi mediocri o accettare contesti miseri pur di vivere.

Il videoclip di “Lla Ffore” racconta visivamente il percorso di chi parte in cerca di una vita migliore. Quali sono state le emozioni che hai vissuto durante la realizzazione del video?

Faceva caldo. Faceva molto caldo, perché abbiamo girato per ragioni di tempistiche questo video verso fine luglio. Io di mio ero appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti, e il jetlag mi aveva talmente tanto buttato fuori che la notte prima non avevo dormito. E nonostante ciò credo sia stato tutto molto divertente e che sia uscito un bellissimo lavoro. Sono stato spinto molto dall’adrenalina del brano per girare, ed ero anche molto sereno e tranquillo, perché molte delle idee visive le abbiamo realizzate direttamente sul luogo tramite confronto. Da questo punto di vista avere un team formato da persone come Michele De Angelis (videomaker) e Diana De Luca (fotografa) è per me sempre una forma di garanzia.