Benvenuto Prince Doji su Fuori La Scatola per questa nuova intervista. Hyper Sanremo è il tuo nuovo singolo. Nel titolo stesso del brano c’è un contrasto forte: “Hyper” richiama il tuo stile futuristico e fuori dagli schemi, mentre “Sanremo” è sinonimo di tradizione. Cosa rappresenta per te questa contrapposizione?
Non so come, ma Sanremo è ancora oggi un evento mediatico seguitissimo e come ogni evento nazional popolare ha bisogno di ottenere consenso. Per farlo propone prodotti che qualche vecchio incravattato reputa “vendibili”. La totale mancanza di curiosità per il nuovo, per il bizzarro e per l’originale lo rendono ai miei occhi un programma mediocre. Con il mio brano cerco soltanto di proiettare la mia visione sull’ascoltatore.
Il pezzo è stato definito. come un dissing, un rosik, un flex e una dichiarazione di intenti. Quale di questi aspetti senti più dominante e a chi o cosa è rivolto il tuo messaggio?
Probabilmente è prima di tutto un dissing. Lo sdegno è il mio sentimento prevalente che trascina tutti gli altri dietro di sé. Quando un prodotto non piace, prima dichiari il tuo disgusto (dissing), poi cerchi di dimostrare che esistono prodotti migliori (flex) e infine ti dispiaci perché nessuno lo pensa tranne te e qualche altro personaggio della tua nicchia (rosik). È la solita sconfitta dell’artista contro il mercato, è persino noioso discuterne.

L’hyperpop è ancora una nicchia in Italia, mentre Sanremo rappresenta il mainstream. Pensi che il panorama musicale italiano sia pronto ad accogliere davvero questo genere o resterà sempre un movimento di culto?
Parafrasando Hume: “Ogni proposizione futura è incerta”. Anche la trap si pensava non potesse emergere, ma poi ha trovato uno strano spiraglio tra i ragazzini e i maranza. Ora tutti vogliono fare i gangstar (o lo sono). Quindi mi astengo, ma non ci spero, un po’ mi sono abituato alla solitudine, non so come potrei reagire a una vera acclamazione popolare.
Il brano ha un sound esplosivo e un’attitudine provocatoria. Se potessi portarlo davvero sul palco dell’Ariston, come immagini la tua performance?
Immagina Prince Doji che entra sul palco con una carrozza rosa piena di led. L’arrangiamento orchestrale, scritto per la prima volta dallo stesso cantante, che si fonde ai synth arcade dei videogiochi. Il pubblico non capirebbe più nulla, shock totale. Sarebbe talmente surreale che ho la certezza che diventerebbe virale, nel bene e nel male. Ovviamente la sera dei duetti canterei con l’ologramma di un vocaloid giapponese. Sinceramente, ora che ne sto parlando, non capisco perché non lo fanno. Magari non piacerà al grande pubblico, ma su 30 canzoni tutte uguali mettere una cosa assolutamente fuori dal coro farebbe audience.
Nella scena hyperpop internazionale c’è un forte senso di estetica e storytelling. Quali sono le tue principali ispirazioni e in che direzione vuoi portare la tua musica dopo “Hyper Sanremo”?
Diciamo che il mio periodo giocoso sta lasciando sempre più spazio a quello politico e battagliero. Prevedo una tendenza leggermente più dark per le prossime canzoni. Più faccio musica più mi sdegno e questo sentimento non può che influenzare i miei brani.
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