Intervista a Il Kele: ci racconta il suo nuovo album ” Diritto di vuoto “

Benvenuto Il Kele su Fuori La Scatola per questa nuova intervista. Nel tuo album “Diritto di Vuoto” il concetto di “vuoto” non è solo una condizione da subire, ma può diventare uno spazio fertile per la creazione. C’è stato un momento preciso nella tua vita o nel tuo percorso artistico in cui hai vissuto questa trasformazione?

Nel mio percorso artistico, come prima o poi succede a tutti, ho incontrato più volte il famoso “blocco dello scrittore”. Quello che scrivi è forzato, non è buono, non è ispirato o banalmente non scrivi proprio. Però mi sono accorto che spesso è un problema di percezione: siamo talmente abituati a seguire gli schemi creativi a cui siamo più abituati, che quando questi ammuffiscono proviamo ansia per il vuoto che lasciano, facendo difficoltà a considerare quest’ultimo realmente per quello che è, cioè un concentrato di possibilità che necessitano solo un cambio d’ottica per essere sviluppate.
Nella vita quotidiana il processo è simile: finisce una relazione, un’amicizia, le persone se ne vanno oppure si cambia totalmente ambiente pur non desiderandolo. Per alcuni può essere deprimente o ansiogeno ma credo che, ribaltando la nostra percezione e focalizzandoci su ciò che si può ottenere d’ora in poi più che su ciò che si è perso, possiamo superare questa forma di horror vacui.

Il vuoto esistenziale è un tema che tocca tutti, ma ognuno lo vive in modo diverso. Come hai tradotto questa esperienza in musica e testi, e come speri che il pubblico si identifichi nelle tue canzoni?

La mia speranza è che le persone possano usare la mia musica e i miei testi per scoprire qualcosa in più di sé, anche e soprattutto se il modo in cui li percepiscono è diverso rispetto alle intenzioni con cui li ho composti.
Il vuoto esistenziale, personalmente, l’ho sempre considerato un concetto correlato alla mancanza di senso, di significato, generale della vita. Naturalmente ognuno può percepirlo e interpretarlo in modi molto diversi da questa mia elaborazione, ma forse c’è uno stato emotivo che può risultare comune alle persone che si affacciano all’esperienza del vuoto in senso più ampio.
Di questo parla “Angoscia”, forse il brano più ostico dell’album, fortemente ispirato dall’opera “Was ist Metaphysik?” di Martin Heidegger.

L’album sembra anche una riflessione sulla pressione sociale che impone come dovremmo sentirci. Qual è stato il tuo rapporto con queste aspettative e come la musica ti ha aiutato a ridefinire la tua identità emotiva?

La musica per me è il diritto espressivo supremo in cui, senza filtri, posso raccontare le sfumature di pensiero ed emotive che mi caratterizzano.
Nella quotidianità sono uno psicologo psicoterapeuta, lavoro ogni giorno con le persone per normalizzare e liberare da pressioni sociali e altre sovrastrutture il vissuto emotivo di ognuno.
Il “Diritto di Vuoto”, per estensione, può riguardare anche il diritto di non sottostare a quella positività tossica diffusa che ci fa sentire sbagliati se riconosciamo apertamente che qualcosa non va, ma rappresenta il diritto di potere fermarsi, comprendere cosa sta succedendo, capire quando realisticamente non abbiamo le forze per uscire da determinate situazioni di disagio interiore.
Ho conosciuto molte persone inconsapevolmente affezionate al proprio disagio psichico, timorose e fortemente impaurite dalla possibilità di poter stare meglio, perché ormai stare male faceva parte della loro identità; ne canto in “sto bene:stomale”, scritta quasi come provocazione su questo tema.

A livello musicale, come hai lavorato per rendere il concetto di vuoto? Hai sperimentato con particolari scelte sonore, arrangiamenti o momenti di silenzio per rafforzare il messaggio dell’album?

Musicalmente il processo è sempre stato più emotivo e “di pancia” che pensato: alcuni pezzi sono nati da mie composizioni su cui poi ho avuto l’idea del testo e che Alex Moro, mio producer, ha poi arrangiato ulteriormente, altri sono nati come testi a cui abbiamo dato una veste musicale che li valorizzasse.
Le scelte artistiche collegate al messaggio del disco sono davvero molte e invito a scoprirle, non solo a livello di arrangiamenti ma anche di un sound design da parte di un Alex davvero ispirato.
Questo ha portato necessariamente l’album ad essere un mix di generi collegati dal cantato rap, e non per forza seriosi o pesanti; capisco che questo può disorientare chi si aspetta un suono unico e monolitico, però a lavori terminati mi rendo conto che era l’unico modo per realizzarlo, tenendo anche conto di quanto ci divertiamo ad essere eclettici musicalmente io e Alex.

Se “Diritto di Vuoto” potesse lasciare un’unica riflessione a chi lo ascolta, quale vorresti che fosse?

Spesso, presi dalle fatiche e vicende quotidiane, non abbiamo la forza, la voglia o la testa per riflettere su questioni che percepiamo come troppo elevate o senza risposta.
Mi auguro che “Diritto di Vuoto” possa essere uno spunto di riflessione sulla trasversalità che le tematiche “alte” possiedono, permeando nel concreto la nostra quotidianità più di quanto a volte siamo disposti ad ammettere.

Lasciamo l’ ultimo spazio dell’ intervista al nostro ospite. Puoi ora lanciare un tuo messaggio o rispondere alla domanda che avresti voluto ma non ti è stata fatta!

Un messaggio a chi ascoltando il disco si è incuriosito: mi auguro di vedervi anche ai live, perché le canzoni possono prendere forme molto diverse rispetto a come sono state pubblicate, ma soprattutto perché ho sempre piacere di scambiare, con chi ci supporta, opinioni e feedback sul progetto che stiamo portando avanti.
Ci vediamo sotto al palco!

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