Intervista a Gintsugi per il suo nuovo album “The Elephant in the Room”

Cantante, polistrumentista e produttrice delle sue stesse creazioni, Gintsugi scava nei recessi della sua anima emotiva, navigando sulla delicata linea tra esposizione e catarsi. “The Elephant in the Room” è il suo nuovo disco: l’abbiamo intervistata.

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Ciao, puoi raccontarci chi è Gintsugi?

Gintsugi è l’arte giapponese della riparazione delle ceramiche rotte con l’argento ed è anche il nome del mio progetto artistico/personaggio.

Ci racconti l processo creativo di “The Elephant in the Room”?

Le melodie escono fuori in momenti inaspettati, quindi spesso faccio dei vocali; a volte invece nascono quando mi siedo al piano o con la chitarra. In genere escono fuori già con le parole. Dopo un po’ di tempo riprendo questi elementi e li sviluppo, li affino, li arrangio, li ri-arrangio eccetera; è la parte più lunga del lavoro. Non ho mai smesso di scrivere già dal mio primo EP, e quando avevo 6/7 canzoni mi sono detta che avrei potuto farne un album.

In che modo il tuo approccio alla scrittura musicale si è evoluto nel corso della tua carriera artistica?

Per ora ho sempre usato lo stesso “metodo” – tranne quando la scrittura arriva nei sogni oppure in modo più spontaneo. Un metodo che ho usato è quello di prendere un evento, di isolare l’emozione o le emozioni associate, amplificarle in maniera sensoriale, ‘cucirci’ poi sopra una storia.

Però da ora mi piacerebbe usare metodi diversi, sto leggendo molto su David Bowie, mi piacerebbe riprendere i metodi con Brian Eno per creare i prossimi lavori.

Ci sono influenze musicali specifiche che hai cercato di incorporare nell’album?

Sì c’è la musica classica, Satie, i canoni che volevo proprio mettere in una canzone da tempo; c’è Agnes Obel e le sue voci modificate, un omaggio al Moog usato da PJ Harvey, alcune ispirazioni nelle musiche per film, Badalamenti, Zimmer; alcune parti vocali cantate  un pò in stile anni 50.

Qual è stato il brano più difficile, ma magari anche intenso, da scrivere?

Il più difficile da arrangiare più che da scrivere è stato Complete; non ne sono ancora soddisfatta, il che la dice lunga sulla natura stessa del brano che ripete molte volte “sei completa” e poi invece è incompleto; in un certo senso mi sembra perfetto.